Roberto Raineri-Seith: TicinOFF - la scena musicale, artistica e culturale "altra" della Svizzera italiana degli anni 80 (In progress)



Sommario

Introduzione / I primissimi 80: personaggi in cerca di eguali / La cantina di casa Beretta e il (probabilmente) primo home-studio di musica elettronica in Ticino / Le riviste di riferimento: Frigidaire e T-Ribalta / Nuovi personaggi e strane abitudini / Il Video Art Festival di Locarno / Black Velvet, il primo negozio di musica indie in Ticino / La darkzine Taedium Vitae / La discoteca Morandi - Pegasus e la scena new wave luganese / Chiasso: Dr. Chattanooga & the Navarones e I Dead Relatives di Walter Albini / Il "Dillo" di Urs Müller / Mario Comensoli al Castello Visconteo / Cronaca in Nero di Reza Khatir / Il Bar Sport di Locarno e i primi concerti di gruppi indipendenti / L' "Anti Jazz League" / No Class: uno shop con Doc Martens, bandane e teschi umani in vetrina / Il festival MIC-Musica Improvvisata Contemporanea di Guy Bettini / Riflessione sonora di una diga: incontri ravvicinati del terzo tipo alla diga del Sambuco a Fusio / La comune di Casa Bacilieri a Locarno, la sua cantina e il concerto dei Dinosaur Jr. / L'happening In Fabbrica a Maggia / La rassegna di musica elettronica L'Altro Suono (1989-1991) / Gli happening alle scuole comunali e al macello pubblico di Locarno / Lo spazio "Il Prestino" / Interviste ad alcuni dei protagonisti: Edo Bertoglio, Lorenzo Bianda, Giuseppe De Giacomi, Franco Ghielmetti / Discografia essenziale / Ringraziamenti e credits / Note e fonti per approfondimenti / Nota sull'autore



Introduzione

Du bist schön und jung und stark, nimm dir was du willst, so lange du noch kannst, verschwende deine Jugend (DAF)

Basato sul mio vissuto personale, interviste ai protagonisti, testimonianze e documenti dell'epoca, TicinOFF come da titolo racconta la scena "off" della Svizzera italiana del periodo compreso tra il 1981 e il 1994, fortemente caratterizzata da espressioni innovative e di rottura ispirate soprattutto dalle avanguardie oltre che dalla scena new wave e post-punk dei grandi centri urbani che anche nella nostra piccola realtà ebbe i propri epigoni e i propri spazi.

Rivolta principalmente a progetti ed eventi in massima parte autoprodotti o realizzati fuori dal contesto istituzionale (gallerie, musei ed enti legati al circuito della cultura ufficiale), nella cronaca non mancano inoltre riferimenti a spazi come bar e discoteche dell'epoca la cui memoria oggi è ancora ben presente nell'immaginario collettivo locale e che malgrado le loro caratteristiche e finalità prettamente commerciali, per l'assenza di spazi specifici aggregavano anche il pubblico "altro".

Il taglio a tratti dichiaratamente autocelebrativo della narrazione e gli aneddoti in parte parental advisory sono finalizzati sia a rendere il mood anche sotto il profilo delle espressioni e degli atteggiamenti del tempo, sia come omaggio alle minor celebrities locali protagoniste di quella che nella nostra piccola e provinciale realtà fu un'epoca straordinaria per creatività, spirito di innovazione e di rottura oltre che di dichiarata ostilità nei confronti di ogni forma di compromesso esistenziale.

Muovendosi dal Locarnese, TicinOFF ricorda e racconta situazioni riferite alla Svizzera italiana nel suo complesso e si concentra poi in particolare su Lugano, dove a partire dalla fine dei 70 fu attiva una scena new wave molto interessante grazie soprattutto a Pier Poretti, Edo Bertoglio e tutto ciò che ruotava attorno al magazine T-Ribalta, oltre che al Mendrisiotto e a Chiasso con le produzioni di gruppi locali assolutamente "avanti" come i Dr. Chattanooga & the Navarones.

Il lettore preparato, o più semplicemente anagraficamente contestuale a quello straordinario momento storico, ritroverà nel testo luoghi, eventi e personaggi la cui memoria a distanza di quarant'anni ancora alimenta e in parte affascina l'immaginario collettivo anche delle nuove generazioni, come le discoteche Le Stelle e Morandi di Lugano, lo "Sport" di Locarno, il Video Art Festival di Rinaldo e Lorenzo Bianda, il Festival del Film di David Streiff all'epoca vissuto ancora in libertà e a stretto contatto con attori e registi o i primi concerti di musica indipendente organizzati con mille difficoltà.

Buona retroavanguardia!

L'autore, giugno 2024






L'autore nel 1982 nello studio di architettura Snozzi a Locarno. Fotografia Polaroid di Massimo Corradi





I primissimi 80: personaggi in cerca di eguali

We're smart patrol, nowhere to go, suburban robots that monitor reality (DEVO)


In principio il collante fu soprattutto la musica. Svaporato il lungo periodo della Disco Music e delle mie notti al Ritual di Baia Sardinia e alle Stelle, nell'estate del 1980 (impossibile da dimenticare, fu quella di Ustica e della strage di Bologna) al Morandi di Lugano rinominato Pegasus avevo scoperto la New Wave, impostasi nella storica discoteca luganese soprattutto grazie a Pier Poretti, fotografo e influencer ante litteram della luganese degli 80 sul quale ritornerò più avanti. E nell'arco di una notte Giorgio Moroder, Sylvester, Kano, i Revanche e la Peter Jacques Band lasciarono spazio ai B-52's (con Rock Lobster che andava in loop), ai Krisma, agli Specials e soprattutto ai DEVO, ancora oggi tra i miei gruppi preferiti.

Scopertomi con dei gusti ormai terribilmente datati, nel gennaio 1981 abbandonai il caschetto di Vergottini con frangione sugli occhi che ancora mi legava al mio periodo milanese fine '70 e mi feci, senza ripensamenti né rimpianti, un taglio cortissimo e un look post-Biffi Boutiques e post-Fiorucci che combinava l'estetica degli anni '60, la moda SKA, l'iconografia new wave e le citazioni Kraftwerkiane, come il piccolo circuito elettronico che portavo sempre come spilla al bavero sinistro del mio imper Allegri. Se lo ero già comunque prima, rispetto al resto della giovine fauna locale, in larghissima parte ancora fricchettoni che giravano con il mozz e tifavano Ambrì Piotta ascoltando Vasco Rossi, gli AC/DC oppure blues e jazz, con questo look per loro ero decisamente un alieno; un alieno in ogni caso comunque molto ganzo, o quantomeno quanto bastava per broccolare in quantità, e senza particolare impegno, quelle che all'epoca ancora chiamavamo sbarbine anche se dall'uscita dello storico pezzo degli Skiantos erano ormai trascorsi parecchi anni.

Era un periodo di cambiamenti e per l'estate del 1981 era previsto che mi spostassi in Toscana dove avrei lavorato, non era ancora molto chiaro con quale ruolo, nella casa di confezioni di mia mamma che nel frattempo si era trasferita da Milano nelle campagne senesi. L'idea era essenzialmente quella di sfuggire all'ormai imminente servizio militare (previsto per l'inverno 1982 in un posto freddo e per me inconcepibile noto come Airolo) e di non fare mai più ritorno in Svizzera, ma la notte di Ferragosto, pochi giorni prima di partire, all'uscita dalla discoteca Le Stelle di Ascona (saranno state le 3 di mattina e lei era ancora ampiamente minorenne ma con il look e gli ascolti giusti), conobbi Giulia.

Un incontro che per 3 anni mi cambiò la vita, dato che dopo poco più di un mese di Toscana il manco fu eccessivo e decisi di ritornare in Ticino per lei (eh sì, quella è un'età piena costellata di errori, ma è una cosa che si capisce sempre solo dopo) anche a rischio del servizio di leva, che comunque per me si concluse, dopo appena 3 settimane da imboscato in ufficio, con un congedo definitivo per motivi di squilibrio mentale (molto efficacemente simulato). Ricordo ancora oggi il giorno e il sergente maggiore, un tipo simpatico di nome Casari, che mi accompagnò in jeep alla stazione di Airolo dove, buttato quello militare, presi un biglietto di prima classe per tornare da Giulia e alle mie comodità. Sulla testa lo storico primo walkman Sony e sulla cassetta l'album Freedom of choice dei DEVO.

Parallelamente a Giulia, uno dei primi ad entrare nel mio campo gravitazionale, o io nel suo, fu Massimo, per gli amici Mac, un ragazzo alto e magro e dall'aspetto molto serio che all'epoca studiava architettura e lavorava presso lo studio di Luigi Snozzi, ascoltava Isao Tomita e Vangelis ed era soprattutto fortunato possessore di un sintetizzatore Roland System 100 sul quale ogni tanto mi lasciava mettere le mani.

Si aggiunse poi subito Walter, che ascoltava i Talking Heads e con il suo taglio biondo cortissimo sembrava uno dei Palais Schaumburg o, più sinistramente, uno Hitlerjunge fuori tempo massimo, da noi aggregato una sera in un bar mentre al tavolo accanto al suo ci si divertiva con uno ZX 81, uno dei primi home computer sul quale Mac aveva programmato un gioco politicamente molto scorretto che aveva a che fare con una irripetibile barzelletta dell'epoca e un safari in Africa sul quale per pudore non mi dilungo. A un certo punto il discorso cadde sui contenuti di un libro politicamente ancora più scorretto del giochino sullo Sinclair e Walter, che da un pò ci stava ascoltando, si inserì nel discorso con un perentorio "l'ho letto anch'io" facendosi quindi invitare al nostro tavolo.

All'epoca si faceva conoscenza così, per affinità di look e gusti molto poco mainstream e molto "contro", grazie a una battuta irriverente colta al volo o perché sentivi qualcuno ascoltare in macchina o sul Walkman dello SKA, i DEVO o altra roba sul genere che passava sotto l'etichetta di new wave e che avevamo scoperto sia appunto al Morandi, sia sulle riviste del periodo come Frigidaire e il magazine T-Ribalta, prodotto a Lugano da Pier Poretti e Edo Bertoglio, entrambi personaggi centrali della scena new wave luganese (e internazionale) dell'epoca sui quali ritornerò più avanti.

Se T-Ribalta aveva un taglio piuttosto glam e pubblicava contributi relativi soprattutto sulla scena un pò più commerciale (ricordo servizi su Blondie, Grace Jones, i Krisma e Pater Sato), Frigidaire era invece il mensile d'elezione sia perché trattava temi più storti, sia perché adoravo le micidiali recensioni musicali del grande Stefano Tamburini, quello di "Tutto è già stato detto, l'importante è avere sempre un pubblico che non se lo ricorda" e che nella sua rubrica Red Vinyle stroncava brutalmente e con formulazioni insuperabili tutto ciò che anche noi detestavamo.




1982: la cantina di Casa Beretta

Eisbären müssen nie weinen (Grauzone)


La storia con Giulia andava avanti ormai da qualche mese e sembrava solida, quindi nel 1982 i suoi genitori (ai quali ero simpatico anche se gli saccheggiavo sempre il frigo) decisero di concederci un privé nella cantina della loro casa in via Querce ad Ascona. Sufficientemente interrato per farci casino senza disturbare nessuno aveva un accesso separato da quello dell'abitazione e quindi logisticamente ideale.

Qualche settimana dopo, arredato alla meglio quella sorta di bunker con alcune sedie, delle scaffalature industriali e un tavolo sul quale avevamo sistemato un piatto e dei registratori a cassette, Walter (con il quale ormai facevo coppia fissa) ed io decidemmo di fare spese importanti e ci recammo da Soldini Musica per acquistare, pagandoli a rate per due anni, un sintetizzatore modulare Roland System 100M, un mixer amplificato sempre Roland e un paio di casse qualsiasi. Aggiungemmo ai registratori a cassette che già avevamo un 2 piste a bobine Akai che ci aveva lasciato in prestito definitivo un amico, una batteria elettronica Boss DR-55, più alcuni pedali-effetto per chitarra (ricordo un Flanger e l'oggi very sought-after Boss Chorus Ensemble CE-1 che sembrava un ferro da stiro) con l'idea di produrre con il moniker WUR cose in stile EBM o Neue Deutsche Welle.

Il nome del gruppo, anzi del duo, non era il banale acronimo di "Walter und Roberto" ma bensì il titolo nella traduzione tedesca del dramma futuristico degli anni 30 di Karel Capek R.U.R. / Rossum Universal Robots in cui si narra della distruzione dell'umanità ad opera di una coppia di androidi, riferimento che la diceva lunga sulla scarsissimo orientamento umanistico del progetto come del resto anche nostro. I primi output furono comunque assolutamente inascoltabili, amatoriali e del tutto velleitari (anche perché nessuno di noi sapeva suonare) condizione alla quale si aggiungeva l'assenza pressoché totale dei mezzi e della conoscenza tecnica necessari a produrre dei risultati un minimo ascoltabili e di qualità. Fu quindi soltanto a partire dal 1983, con l'acquisto da parte mia di uno dei primi registratori multitraccia semi-professionali a cassette (per gli appassionati dell'audio vintage: un Tascam Syncaset 234) e di un mixer sempre Tascam da accoppiare allo stesso, che si concretizzarono i primi output decenti. Ma su questo più avanti.

Più che come modestissimo studio di registrazione, la cantina Beretta funzionò quindi essenzialmente come luogo di cazzeggio e di ascolto di ciò che il mercato musicale "altro" e decisamente poco mainstream ci permetteva di reperire presso lo storico negozio di dischi Soldini in Piazza Grande o alla la Rec Rec di Zurigo che proponeva ascolti molto più storti. Tra le cose che giravano in loop sul piatto ricordo soprattutto gli album Die Kleinen und die Bösen e Alles ist Gut dei DAF, Normalette Surprise (con la geniale Lebdoch e il suo caratteristico riff dissonante) e Geri Reig dei Der Plan, il Commercial Album dei Residents, My Life in the Bush of Ghosts di Brian Eno & David Byrne, i Grauzone con l'omonimo e splendido loro primo album che conteneva la hit Eisbär, gli zurighesi Aboriginal Voices, i Silicon Teens di Daniel Miller, Speak and Spell dei Depeche Mode, Sons and Fascinations dei Simple Minds (per me il loro album migliore), il primo dei New Order, oltre ovviamente ai Joy Division, Fad Gadget ma anche gli Skiantos.


Se la cantina Beretta rappresentava il privé, lo spazio di riferimento pubblico par excellence del sabato notte era invece soprattutto la storica discoteca Le Stelle di Ascona, che per quasi due decenni, dall'apertura nell'estate 1978 alla sua chiusura nel 1992, fu luogo di attrazione e di sbrago imprescindibile per la nostra generazione ben oltre gli stretti confini locali.

Sincertà per sincerità, a quelle degli anni 80 preferivo le notti della primissima fase della discoteca, come nel 1979 quando quando le serate iniziavano nel buio totale dominato unicamente dagli ultravioletti con la cosmica Tout petit la planète di Plastic Bertrand, per poi raggiungere il climax a mezzanotte quando per un'ora esatta, preso da una botta di nostalgia, il resident DJ di quello splendido periodo dava spazio ai classici della psichedelia anni 70 non senza anche qualche escursione in ambito Krautrock.

Non ricordo chi fosse, ma alle 24.00 in punto partiva sempre con On the run dei Floyd che un tale Giannini (o forse si trattava del simpatico ed eclettico "Beedie" di Brissago che ci ha purtroppo lasciati qualche anno fa) interpretava in solitaria e in modo molto free zompettando schizzatissimo sulla pista con una sorta di calzamaglia aderente stile uomo-ragno. Giannini o Beedie che fosse, quello era sempre il clou della serata, almeno per chi aveva certi gusti, e il momento andava preparato un pò prima con coadiuvanti di vario tipo; per quanto mi riguarda, non essendo mai stato consumatore di sostanze, mi facevo semplicemente un paio di scotch, mentre il resto del mondo usciva per farsi gran cannoni o altro negli immediati dintorni.

Racconto la dinamica per sottolineare il fatto che a dispetto di un periodo storico molto pesante sotto il profilo dell'uso e abuso di stupefacenti, nel nostro gruppo ristretto nessuno uasva stupefacenti nemmeno a livello di canne, figurarsi tirare di naso o spararsi roba in vena, cosa che peraltro avveniva certo non per salutismo, ma per una molto più banale e snobistica avversione culturale al mondo delle droghe che associavamo a quello dei fricchettoni, gente con la quale non volevamo avere nulla a che fare e alla quale anzi guardavamo con radicale dispezzo.

Di conseguenza noi si viaggiava a Scotch, bourbonacci o roba fortemente alcoolica spesso pessima qualsiasi, che scorreva a fiumi come in una notte del 1982 quando da Como arrivarono alle Stelle un gruppo di ragazzotti abbigliati suit and tie à la Blues Brothers, ognuno con una bottiglia di Ballantines (whisky pessimo ma molto trasportabile) infilata nella tasca interna della giacca. Legammo subito e dopo due ore eravamo tutti berci, con il sottoscritto molto ispirato che verso le due di notte andò nei bagni, che si trovavano all'esterno dell'area dedicata alla pista da ballo, per prendere l'asse di un water e il relativo spazzolone. Con l'asse al collo e lo spazzolone in mano, nell'atrio che collegava l'area dei bagni e delle casse con la pista incrociai lo storico direttore del locale, per tutti "il Moro", che mi squadrò basito dalla testa, all'asse e allo spazzolone senza però dire assolutamente nulla, pensando forse che me li fossi portati da casa, mentre io mi aspettavo una diffida per qualche settimana o mese. In realtà, ma questo lo scoprimmo molto più tardi, l'intelligente Moro ci considerava una sorta di attrazione che gli portava clienti e quindi sorvolava su questi episodi del tutto innocui.

La discoteca ospitò anche molti concerti, tra cui quello di Franco Battiato nel 1982 che ci vide tutti presenti e del quale recentemente ho ritrovato una registrazione quasi integrale fatta da un amico su cassetta, che comprende soprattutto brani da La voce del padrone ma anche estratti dai suoi primi lavori (per me i migliori) come una splendida versione di Areknames. L'ho digitalizzata e la trovate sul tubo.

In quegli anni gli eventi in zona per noi significativi come il concerto di Battiato si contavano comunque sulle dita di una mano, anzi si riducevano fondamentalmente a due: il Festival del Film di Locarno all'epoca diretto da David Streiff e soprattutto il Video Art Festival ideato e diretto da Rinaldo Bianda, per noi molto più interessante perché strettamente legato ai nuovi media elettronici e alla relativa tecnologia. Ricordo in particolare l'edizione del 1983, svoltasi oltre che negli studi della Galleria Flaviana anche nel parco del Grand Hotel a Muralto, dove fu allestita una sezione presentata e curata da Carlo Massarini, all'epoca conduttore dell'innovativa trasmissione Mister Fantasy, interamente dedicata ai videoclip musicali. Trasmessa in seconda serata su RAI 1 dal 1981 al 1984, Mister Fantasy fu anche per noi un'importante fonte di cose nuove considerato l'ampio spazio che veniva dato alla new wave e all'elettronica e ad autori come Franco Battiato.

Il Video Art Festival contribuì fortemente a farci conoscere il lavoro dei grandi maestri dell'allora nascente Videoarte come Nam June Paik, i coniugi Steina e Woody Wasulka o Bill Viola, ma anche uno dei miei miti assoluti, Laurie Anderson, che il 7 agosto 1984, giorno del mio compleanno, si esibì in una performance con il suo violino magnetico nel parco dell'Hotel Esplanade di Minusio davanti a poco più di cento persone e a 5 metri da me. Aveva già pubblicato Oh Superman, ma per i più era ancora una perfetta sconosciuta e la sua "Ausstrahlung" era assolutamente impressionante ed emozionante.

Anche il Festival del Film, all'epoca decisamente antitetico rispetto alla forma via via sempre più glam, commerciale e ipertrofica che assumerà a partire dalla presidenza Solari, era un appuntamento atteso sia da noi, sia dai nostri amici e conoscenti del Sottoceneri, della Svizzera tedesca e romanda e italiani con i quali durante quei dieci giorni ristabilivamo contatti e rilanciavamo progetti. Quello di Streiff e di Raimondo Rezzonico che ne era il presidente, fu un festival a misura di cinefilo, rispettoso degli spazi e delle dimensioni della cittadina che lo ospitava, senza securini, blocchi o imposizioni particolari. Non c'erano politici o sciurette atteggiate in cerca di visibilità, tappeti rossi o invasivi interessi commerciali e turistici. Era un festival conviviale nel quale ti sedevi nei bar accanto agli attori e ai registi, molti dei quali all'epoca emergenti e oggi affermati, discutendo con loro. Lo rimpiango moltissimo e con l'arrivo di Marco Solari alla presidenza ho perso totalmente interesse per quell'evento.

Ad eccezione della nostra partecipazione a questi pochi appuntamenti di qualità, gli anni della cantina Beretta furono comunque caratterizzati dal ritiro nel privato e da una dimensione di vita di coppia piuttosto isolata alla quale partecipavano unicamente gli amici più stretti.

Ma dall'estate 1983 le cose iniziarono a cambiare e soprattutto cambiò il rapporto con Giulia, che finito il liceo aveva iniziato il suo percorso di formazione al CSIA di Lugano e a dicembre decise (giustamente) di mollarmi per altri ganzi e altre frequentazioni (in primis il Virus e il Plastic a Milano). Mi trasferii quindi, sintetizzatore ovviamente incluso, in una specie di shed-magazzino in via Luini a Locarno che nel 1984 diventerà il mio primo atelier. Nel frattempo gli ascolti sul piatto erano passati dai DAF e dai Der Plan ai Sisters of Mercy, ai Virgin Prunes e soprattutto ai Nacht'Raum e ai Birds with Ears con la melanconica e decadente Middle-aged men. I gusti erano cambiati, ma si trattava ovviamente di mutazioni nella continuità.




 

Uno scorcio della cantina di casa Beretta (fotografia dell'autore).








Giulia e Francesca, 1983. Fotografia di Pier Poretti.



 

Walter nel 1982. Fotografia dell'autore.


 

Nuovi personaggi, strane abitudini e l'atelier WUR


Tränen der Vernichtung (WUR)

Fine 1983 - inizio 1984 entra in scena un altro personaggio importante: Roger Schmid, giovane e decisamente ganzo new-waver asconese di ben messa famiglia. Con l'undercut (trendy già allora e ispirato dai DAF e dai New Order) il lungo cappotto di cuoio nero, il viso affilato e i suoi quasi 190 cm di altezza sembrava uscito dal Crepuscolo degli Dei di Visconti. Insomma un tipo in grado di competere esteticamente senza problemi con Helmut Berger e che metteva un pò in ombra anche me, ma dato che avevamo gusti femminili molto diversi non ci siamo fortunatamente mai messi in competizione, anzi semmai uno broccolava (anche) per l'altro o ci si scambiava le donne. La combo era perfetta e quindi facemmo subito terzetto fisso io, lui e la sua Rover P6 grigia che faceva molto dandy, con a seguire molti indimenticati deproparty (fondamentalmente dei party nei quali ci si abbandonava ognuno al suo eccesso preferito) in villa al Rondonico con sbarbe più o meno berce che ci zompavano addosso, omelettes gastriche da pulire al mattino prima che tornassero i suoi genitori e notti alle Stelle passate a slegarsi con Relax dei FGTH, Don't tell me dei Blancmange, New day dei Killing Joke e ovviamente Blue Monday dei New Order. Questo per rendere la nightlife, che in aggiunta comprendeva, quando i relativi genitori erano assenti, deproparty nelle case degli amici con devastazione parziale delle stesse previo saccheggio totale del frigorifero e del bar.

Finalmente avevo anche trovato un nuovo spazio per i miei syntetizzatori (che dato che non vivevo ancora da solo doveva fungere anche da pied à terre): un locale-magazzino in via Luini a Locarno (precisamente al numero civico 20, spazio che oggi ospita un antiquario) con servizi igienici esterni regolarmente congelati in inverno, pareti verniciate in nero e pavimento grigio di vernice per piscine, nel quale installai l'home studio WUR e una camera oscura povera ma efficiente per lo sviluppo e la stampa del b/n.

Per chi tra voi è interessato ai dettagli tecnici, quello spazio oscuro e volutamente inquietante ospitava inizialmente il sistema modulare Roland System 100M già di cantina Beretta (nel frattempo crescuto a una una configurazione di 8 moduli, 5 anni più tardi saranno 25) con il vecchio e non quantizzato sequencer del System 100 (a pain to tune but very useful) più nuovi acquisti tra cui un sintetizzatore OSCar, un mixer Tascam M 208 e un 4 piste a cassette Tascam 234 (tra i primi registratori multitraccia in grado di permettere risultati decisamente buoni a un costo tutto sommato contenuto), le batterie elettroniche Boss DR-55 e DR-110 di lì a poco sostituite da una Oberheim DX e degli effetti rack delay e riverbero. Alle macchine citate si aggiungevano microfoni a contatto, bidoni vuoti dell'olio, molle e altro tipo di ferraglia indispensabile per produrre sonorità à la Test Dept e Einstürzende Neubauten, perché la roba che ascoltavo e volevo fare inizio 1984 era quella. Successivamente si aggiungeranno molti altri strumenti ma questa, per dirla con Carlo Lucarelli, è un'altra storia.

Ancora non lo sapevo, ma per me stava iniziando un periodo delirantemente creativo caratterizzato, oltre che da sonorità decisamente storte, anche da un approccio alla fotografia molto brut, con scatti di teste di maiale fornite da un macellaio della zona o stampe di scarafaggi schiacciati tra i vetri dell'ingranditore che usavo per i promo delle produzioni o dei piccoli eventi che organizzavo.

Tra il 1984 e il 1987 da quelle mura tinteggiate di nero uscirono sia (in lacrime) le varie bambine che maltrattavo all'epoca (una di cui taccio il nome dovette anche ricorrere a lungo a uno psicanalista, cosa che mi rinfaccia ancora oggi), sia le mie prime produzioni musicali come la C26 Stahlruine distribuita da Calypso Now di Bienne e da ADN Records Milano (se ne trovano ancora alcune copie su Discogs) oltre a molte piccole produzioni per amici o pseudoclienti che lavoravano nel campo della videoarte o comunque in ambito artistico.

Anche Walter ci registrò il suo primo oscuro demotape, di cui ricordo purtroppo solo il titolo, Litanies Choir - Catharsis, mentre sul piatto in atelier giravano Test Dept, Einstürzende Neubauten (soprattutto), Portion Control, Alien Sex Fiend, Anne Clarke, Psychic TV e i Virgin Prunes, to name a few.



 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Uno scorcio dell'atelier WUR nel 1986



1983-1985: il Black Velvet di via Panigari e la piccola scena dark locarnese


Life is short and love is always over in the morning (Sisters of Mercy)


Cos'era il Black Velvet? Una speranza? Una cellula eversiva nel panorama musicale svizzero-italiano che nei primi 80, rarissime eccezioni a parte, oscillava tristemente tra vascorossiani e personaggi pretenziosi fuori tempo massimo che avendo in tasca il diploma di una scuola jazz (non avendo capito la lezione del Krautrock e del punk) si autoconsideravano gli unici detentori e arbitri della qualità musicale alta?

Soprattutto, oltre che un negozio di dischi con il bilancio credo mai in attivo, quello stanzone al numero civico 13 di via Panigari fu il primo vero luogo d'incontro organizzato e stabile della piccola scena dark, post-punk, industrial e indie locale. Personalmente ci capitai per la prima volta a pochi giorni dall'apertura in condizioni da taglio vene (ancora a causa del recente smollaggio da parte di Giulia) nel dicembre 1983: ricordo che dalla viuzza che da Piazza Grande sale verso il nucleo storico si intravvedevano all'interno due personaggi che sembravano usciti dalla bottega di un cassamortaro, mentre sulle pareti del locale arredato con uno stile indecifrabile stava tutto ciò che sino a quel punto potevi trovare unicamente a Zurigo o Milano come If i Die, i Die dei Virgin Prunes, il fondamentale Die Zeichnungen des Patienten O.T. degli Einstürzende Neubauten, l'EP Loops degli zurighesi Aboriginal Voices, Shoulder to Shoulder dei Test Department, l'ottimo Step Forward dei Portion Control, il primo album dei Sisters of Mercy, parecchio punk di seconda generazione oltre ad alcune oscure cassette più o meno introvabili come Alchemy della Sterile Records con il faccione di La Monte Young che possiedo ancora.

Nato da un'idea di Fabrizio e Giuseppe De Giacomi, il Black Velvet si rivelò subito come una roba in grado di ridare senso alla vita e farti dimenticare per molto più di un attimo anche la Giulia di turno: lì c'era tutto quello che si voleva ascoltare, lì ci si trovava tra simili e lì si potevano anche organizzare occasionali "minifuck" (sveltine) con ragazzotte che quantomeno non ascoltavano la fuffa mainstream del periodo o appunto Vasco Rossi (non me ne vogliano i suoi fans ma non l'ho mai sopportato) piuttosto che i Wham! o i Duran Duran. Perché il sesso è fondamentale (anche se all'epoca preferivo il modulare), ma se poi c'è anche un minimo di cerebro e di Weltanschauung comune è meglio.

Oltre a tentare di vendere dischi, il negozio funzionava anche da videoteca privata per pochi intimi. Ricordo soprattutto la visione in loop di Nick the Stripper dei Birthday Party, quello con la testa di maiale mozzata e l'impagabile "Porca Dio" (sì, scritto proprio così con la "a", il motivo chiedetelo a Nick Cave) spennarellato sul suo torso nudo, clip che erano uno spanzo assoluto come Songs for swinging larvae di Renaldo & the Loaf, il sampler Alchemy della Industrial Records oltre a varie cose oscure dei Throbbing Gristle o degli Psychic TV. Il sabato mattina invece era regolarmente dedicato alla visione collettiva di cinebrividi commerciali come Mad Max 2 o il classico zombie-movie The return of the living dead di Dan O'Bannon, goduti masticando paninazzi presi nell'allora ancora esistente salumeria Bell in Piazza Grande.

Per un periodo il Black Velvet fu anche la redazione di Taedium Vitae, una fanzine dark locale nata dalla mente del sottoscritto e di cui furono prodotte pochi tetrocupi numeri pervasi da una robusta vena esistenzialista e dall'ovvia volontà di épater les bourgeois. Ma naturalmente in quello spazio erano sempre presenti anche pubblicazioni decisamente più consolidate, come T-Ribalta, Frigidaire, T.V.O.R. (Teste Vuote Ossa Rotte) di Stiv (scritto proprio così) Rottame o Punk Artist del grande e compianto Graziano Origa, oltre alle decisamente più commerciali I-D e The Face che piacevano soprattutte alle groupies meno estreme.

Rispetto alle pubblicazioni citate che tiravano anche decine di migliaia di copie, Taedium Vitae era ovviamente una fanzine casalinga e da poveracci di una ventina di pagine, realizzata in fotocopie nel formato A5 in un centinaio di esemplari, anzi probabilmente meno. In massima parte riportava date di concerti, qualche esperienza personale agli stessi o recensioni di album storti in vendita al Black Velvet, il tutto condito da un imaging fortemente macabro in parte basato su immagini originali da me prodotte con un'attrezzatura fotografica di ripresa e di stampa ancora decisamente raffazzonata e amatoriale, oltre che con tecniche di taglia-incolla ancora 100% analogiche. Non da ultimo anche per questi motivi, la hype fanzinara passò piuttosto rapidamente e dopo soli tre numeri ci dedicammo ad altro.

Il Black Velvet era anche luogo di passaggio e di incontro della gente d'area sull'asse nord-sud, come i ragazzi della Rec Rec di Zurigo o di ADN a Milano (con cui creai il contatto per la distribuzione di Stahlruine) oltre a occasionali Alien Sex Fiend - alike dark zurighesi con tanto di pantegane più o meno addomesticate addosso e la cui vista provocava visibili attacchi di panico da peste nera agli avventori pettinati del Bar Portico che era il baretto di riferimento più vicino al negozio. Tra i vari personaggi passati in visita al Black Velvet ricordo Thomas Wydler, che per qualche incomprensibile ragione tra il 1984 e il 1985 venne spesso a Locarno nel periodo immediatamente precedente la sua pluridecennale collaborazione come batterista di Nick Cave, e al quale feci una improbabile intervista per Taedium Vitae che non venne mai pubblicata vuoi perché non avevo capito nulla di quello che aveva detto, vuoi perché non banalmente non mi piaceva quel genere musicale essendo io all'epoca fissato con l'Industrial e l'EBM.

Il negozio funzionò poi ovviamente da polo d'aggregazione per le minor celebrities e i posers locali che durante il giorno e soprattutto al sabato si davano appuntamento al Velvet per organizzare le botte di esistenzialismo svenatorio del weekend in vari luoghi e con varie dinamiche. Non mancavano ad esempio i giri notturni nei cimiteri della zona o i tentativi di Boris di scattare fotografie a Giuseppe e al sottoscritto vestiti à la Virgin Prunes mentre ci appoggiava alla bara di qualche per noi anonimo defunto nella morgue dell'ospedale La Carità, con le riprese interrotte dall'arrivo dei parenti del defunto che credo non abbiano mai capito bene che ci facessero quei personaggi nella camera ardente del loro caro.

Un aspetto piuttosto singolare di quella scena locale è che il nostro gruppo comprendeva persone dai gusti molto diversi fra loro e che diversamente dai contesti metropolitani convivevano senza problemi. La tribù del Black Velvet funzionava grazie al denominatore comune dell'essere diversi dal gusto commerciale dell'epoca poco importa come, al punto da includere, per un breve periodo, persino un paninaro con tanto di scarponcini Timberland, giubbino Moncler e cintura El Charro. Tra i personaggi a me più cari e che amo ricordare, il "primo punk locarnese", Daniele "PIL" Pillon, apparso in realtà nel 1983 e quindi decisamente già di retroguardia rispetto alla wave punk inglese dei 70 che nel frattempo si era quasi totalmente estinta. Meccanico d'aviazione e volodeltista, aveva il brevetto di volto per monomotori, la cresta e il chiodo d'ordinanza e qualche chilo di catene d'acciaio addosso che la polizia locale regolarmente gli sequestrava (non ho mai capito il motivo, dato che PIL era assolutamente pacifico pur se a tratti un filo introverso). Lo sentivi arrivare da lontano perché il suo ghettoblaster portato a spalla e alimentato a cassette degli Exploited, G.B.H. e UK Subs, sparava nell'aria un rumore indistinto e distorto tipo cantiere. Rimase con noi per diversi anni prima di riporre l'armatura senza però mai omologarsi completamente allo stile di vita di una società che gli stava stretta e lasciarci purtroppo definitivamente nel 2014 all'età di soli 50 anni.

Il sabato notte si trascorreva sempre e ancora alle Stelle, con il DJ dell'epoca che si era lasciato a mettere di tanto in tanto anche Pagan Lovesong dei Virgin Prunes fino al giorno in cui non gli arrivò un anfibio Doc Martens sul piatto, cosa che per noi fu ovviamente la fine di qualsiasi velleità d'imporre quel tipo di musica in quello spazio. Di quelle notti nella discoteca asconese ricordo le pogate, Giuseppe trascinato per i piedi per tutta la pista o ancora un'epica gara a sputi tra lui e PIL sul palchetto davanti alla consolle come fosse un live dei Major Accident, le bottiglie di whisky o di altri superalcolici trafugate in sala, la pista con le gocce di sangue del selfcutting e il tappeto di vetri rotti insanguinati che ogni sabato sera lasciavamo nell'angolo a destra della consolle, la nostra zona.

In quel periodo imperava infatti, anche se come provincia impone con ampio ritardo rispetto all'epopea punk e alla famosa autoamputazione di un suo dito di Maurizio Arcieri dei Krisma, la moda del selfcutting ai polsi e agli avambracci, fatto inizialmente con bicchieri rotti e in seguito più seriamente con delle surgical blades professionali da bisturi che ci procurava Noemi, all'epoca in formazione presso uno studio medico, taglienti ed efficaci al punto che la notte di Halloween del 1984 finii al pronto soccorso perché avevo beccato qualche vena importante e il sangue uscì a schizzi. Agli infermieri di turno, piuttosto stupiti, spiegai che mi era sfuggito il coltello per tagliare il pane per la fondue, ma francamente dubito ci abbiano creduto. Tutto questo mentre Roger e Boris, estratti i loro Messerschmitt decisero di usare la sala d'attesa del pronto soccorso (a quei tempi e a quell'ora deserta e senza videosorveglianza) come vespasiano, motivo per il quale me ne guardai bene dal ritornarci e i punti me li dovetti poi togliere da solo.

Come negli anni precedenti, anche in quel nostro secondo e ultimo periodo alle Stelle il buon Moro non disse mai nulla, sia perché continuavamo ad essere un'attrazione o forse perché banalmente in tutti quegli anni lì dentro di soldi ne avevamo lasciati parecchi. In estate comunque la discoteca tirava meno, a favore soprattutto dei deproparty al fiume, spesso sotto il ponte Maggia perché era l'unica zona al riparo da eventuali temporali, sostanzialmente delle grigliate monumentali all'aperto con dosi impressionanti di alcolici (ma zero canne né altre droghe perché come già detto quella era roba da fricchettoni fuori moda e noi dovevamo distinguerci), l'obbligo di portarsi le frattaglie dei giorni prima da casa per il rito di tirarcele addosso, e una mise adeguata di regola ispirata ai Virgin Prunes, in particolare per Giuseppe che ricordo varie volte in calze a rete strappate.

Per chi volesse farsi un'idea più precisa della dinamica di un buon deproparty segnalo il già citato video del pezzo Nick the Stripper dei Birthday Party di Nick Cave che trovate facilmente sul tubo, ma va detto che malgrado il massimo impegno in tal senso ne restammo comunque sempre piuttosto lontani, per tacere del fatto che eravamo massimo una decina. Alla fine nulla di che, salvo il fatto che un "depro" poteva considerarsi veramente riuscito solo se finiva con l'arrivo di un'ambulanza, gente al pronto soccorso e qualche lavanda gastrica, cosa che ovviamente accadde più di una volta.

Con la chiusura del Black Velvet e la progressiva trasformazione delle Stelle in rockteca si chiudeva anche un ciclo con nuove trasformazioni, sempre nella continuità.




Giuseppe De Giacomi nel 2018 con due copie di Taedium Vitae.





Daniele Pillon al Black Velvet in uno dei suoi tipici atteggiamenti, 1984.







Prossimi capitoli

La discoteca Morandi - Pegasus e la scena new wave luganese / Chiasso: Dr. Chattanooga & the Navarones e I Dead Relatives di Walter Albini / Il "Dillo" di Urs Müller / Mario Comensoli al Castello Visconteo / Cronaca in Nero di Reza Khatir / Il Bar Sport di Locarno e i primi concerti di gruppi indipendenti / L' "Anti Jazz League" / No Class: uno shop con Doc Martens, bandane e teschi umani in vetrina / Il festival MIC-Musica Improvvisata Contemporanea di Guy Bettini / Riflessione sonora di una diga: incontri ravvicinati del terzo tipo alla diga del Sambuco a Fusio / La comune di Casa Bacilieri a Locarno, la sua cantina e il concerto dei Dinosaur Jr. / L'happening In Fabbrica a Maggia / La rassegna di musica elettronica L'Altro Suono (1989-1991) / Gli happening alle scuole comunali e al macello pubblico di Locarno / Lo spazio "Il Prestino" / Interviste ad alcuni dei protagonisti: Edo Bertoglio, Lorenzo Bianda, Giuseppe De Giacomi, Franco Ghielmetti / Discografia essenziale / Ringraziamenti e credits / Note e fonti per approfondimenti / Nota sull'autore







L'autore

Roberto Raineri-Seith è un autore svizzero di origini tedesche il cui lavoro è caratterizzato da un approccio transmediale che incrocia musica elettronica prodotta con strumenti analogici vintage, field recording, fotografia e scrittura. Dal 2003 al 2011 è stato presidente dell'associazione svizzera dei fotografi di studio (sbf.ch) di cui è ora membro onorario, membro del comitato direttivo del "Büro für Fotografiegeschichte Bern" e della commissione di qualità responsabile per la formazione di Fotodesigner dipl. fed. In ambito fotografico la sua ricerca si inserisce nella tradizione della Nuova Oggettività ed è caratterizzata da una forte impronta grafica combinata con il gusto per la sperimentazione e una pronunciata concettualità. Opere in varie collezioni private e pubbliche, tra cui quelle del Museum für Gestaltung di Zurigo, del MASI e della Fondazione Rolla. "1. Premio di fotografia 1994" della Società Ticinese di Belle Arti. In passato ha inoltre collaborato come giornalista freelance con diversi quotidiani e periodici della Svizzera italiana occupandosi soprattutto di temi culturali e della redazione di testi critici.

www.raineri-seith.com

(Rev. 11.7.2024)






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